Sono le persone più tristi quelle che fanno i sorrisi più belli… sono i sorrisi che cercano una speranza.
Quante volte nella nostra quotidianità sentiamo di provare tristezza? Quante mattine ci svegliamo e lamentiamo uno stato d’animo negativo, siamo tristi ?
Quante volte intorno a noi incontriamo persone con lo sguardo spento, senza motivazione, rassegnate.
Se la depressione grave è considerata come una psicopatologia o un disturbo psichiatrico, che prevede tipicamente la necessità di intraprendere un percorso terapeutico con uno psicologo, e, nei casi più gravi, con uno psichiatra, diverso è parlare di tristezza.
La tristezza è un’emozione che tutti abbiamo provato nella vita, chi con un’intensità maggiore e chi minore, chi dopo un litigio, chi dopo una delusione, chi per una perdita; chi sfogando lacrime, chi rimanendo in silenzio.
È naturale!
Se si pensa ad un evento che produce tristezza, escluse malattie organiche con ricadute psicopatologiche,la prima cosa che viene in mente, è la morte di una persona cara.
In psicologia peraltro, quando si parla del sentimento del lutto, si fa riferimento anche ad altri eventi che hanno a che fare con una perdita, comeper esempio le delusioni amorose, quando vi è una rottura nella coppia. In questo caso vi sono sentimenti contrastanti di perdita, dolore, rabbia, tristezza, rassegnazione. Vi può essere una forte instabilità data dal venir meno di quelle rassicuranti certezze rispetto al presente e al futuro.
Un altro esempio di lutto può maturare all’interno della relazione genitori e figli.
I genitori possono arrivare a provare un lutto nel momento in cui un figlio decide di allontanarsi da casa, magari cambiando città, per amore, per studio o per lavoro.
In altri casi il genitore può provare un sentimento di delusione, quando il figlio vive degli insuccessi, un disagio che può diventare sconforto, nel dubbio di non essere riuscito a essere un buon modello o una buona guida.
Quando parliamo di tristezza, troviamo tra le cause anche i fallimenti nell’attività lavorativa.
“mi sento un fallito”, quante volte questa frase viaggia a braccetto con sentimenti di tristezza e rassegnazione.
La tristezza è un emozione quindi che ci abbatte, ci rende poco motivati, ci spegne.
Se osserviamo bene tutte le cause elencate, troviamo, nella maggior parte, una costante. Il coinvolgimento all’interno di una relazione.
Pensiamoci bene, perché scatta la tristezza?
Perché il soggetto si sente tradito o deluso da un’altra persona a cui tiene.
Questa può essere una persona amata, può essere la mamma, il papà, un parente lontano che si sente una volta all’anno, un socio lavorativo, o un amico.
Eppure chi legge, e sta vivendo un momento della vita contrassegnato da tristezza e rassegnazione, potrebbe non avvertire una relazione di causa-effetto nella relazione con persone o con situazioni che hanno fatto soffrire.
Come ci insegna la psicoanalisi, il lutto o la delusione, con annessa forte angoscia, potrebbero essere “rimossi”, cioè apparentemente dimenticati, in realtà tenuti fuori dalla coscienza, ma capaci, dal profondo, di rigenerare sconforto.
Uno dei passaggi terapeutici fondamentali, di chi applica come me l’ipnosi (in trance leggera, media o profonda), nella psicoterapia breve d’urgenza, è proprio quello di fare riemergere, il prima possibile, queste dolorose sofferenze, per poi passare alla rielaborazione e al rilascio.
Quali sono le possibili conseguenze negative della tristezza e della rassegnazione?
La demotivazione, la perdita di interesse, la rinuncia.
Gli studi svolti dalla Psicologia Analogica ci hanno dimostrato che il soggetto a seguito di una delusione, può perdere, un misura significativa, energia, entusiasmo e motivazione nella conquista dei propri obiettivi.
Può… come può, anche a seguito di una delusione, imparare a lottare per i propri sogni, lottare per la persona amata, lottare per cambiare la situazione.
Come mai troviamo questi due diversi approcci al problema? Uno orientato alla resilienza e uno orientato alla demotivazione?
Quest’ultimo caso è tipico delle persone che si illudono in eccesso, senza aver verificato o lavorato prima sulla propria autostima. La tristezza che arriva a seguito di un abbandono affettivo o di un “tradimento d’intesa”, sarà infatti proporzionale a quanto ci eravamo illusi, senza le capacità di reazione tipiche di chi ha un vissuto infantile/adolescenziale, emotivamente sano e fortificante.
Quindi se andiamo alla radice, più mortificazioni, svalutazioni insieme a carenze affettive abbiamo subito da bambini, più le cicatrici sono profonde, più le minime sofferenze da adulti risulteranno amplificate. Arriverà quell’evento inaspettato che andrà a toccare proprio quel tasto dolente che riaprirà la nostra ferita interiore, alla quali il bambino ha reagito chiudendosi in se stesso, con tristezza e rassegnazione, perché non aveva altre alternative.
Proprio perchè nel presente si vive il conto delle ferite del passato.
Subentra ora una questione importante che riscontro in molti dei miei pazienti.
Il ruolo del destino.
In alcuni casi, dalla tristezza si arriva alla rassegnazione, si arriva ad una rinuncia quotidiana a perseguire i propri sogni, si nota nel paziente che via, via, il pessimismo prende il sopravvento sul normale: “istinto di vita”.
D’altra parte, come scriveva Emile Cioran: “Ogni rinuncia è un piccolo suicidio quotidiano”
Qual’è il ruolo del destino quindi?
Il ruolo del destino subentra perché la persona, si trova a interpretare i piccoli, grandi eventi spiacevoli della vita secondo un’ottica fatalistica, temendo di avere ereditato da un genitore difetti mentali o caratteriali, che non potranno che portare a vivere situazioni negative.
Questa visione nasce dal momento in cui effettivamente i genitori hanno manifestato da sempre debolezze, atteggiamenti rinuciatari di fronte alle difficoltà della vita, oppure vere e proprie condotte ansiose e depressive.
Il figlio si trova a ipotizzare una personale tendenza al fallimento, alla sventura insita nei propri geni, nel proprio dna, come fosse portatore di un destino avverso per via ereditaria, e di conseguenza, di una una condizione incontrollabile e immutabile.
Questa è chiaramente una costruzione mentale..
La tristezza diventa una riconferma del fatto che vi è una forza superiore, il destino, che controlla la vita della persona.
In questo caso manca la forza di reagire, la motivazione al cambiamento, vi è una continua visione pessimistica della vita, senza un’apparente via di uscita.
Questa visione viene falsificata dagli studi dell’ epigenetica su gemelli omozigoti, dotati cioè dello stesso patrimonio genetico.
È noto che i gemelli omozigoti, vissuti nello stesso ambiente, riescano a reagire alle situazioni quotidiane in modo diverso. Un gemello può tendere a reazioni depressive mentre l’altro no, perché ha imparato a reagire ad eventi in un certo modo.
In questo caso, se anche i geni sono gli stessi, e se anche ci sono quelli che portano alla depressione, non è detto che questi ultimi si esprimano, anzi può darsi che si esprimano solo quelli che porteranno a emozioni positive, e, le neuroscience ci indicano che noi possiamo far qualcosa perché avvenga la seconda ipotesi. L’ipnosi, in questo senso, è uno strumento fondamentale, come riscontriamo io e i misi colleghi nella nostra pratica clinica, svolta spesso a fianco di medici e ricercatori che monitorano i progressi anche a livello neuro fisiologico.
Il tutto ci dimostra come sia importane fortificarsi a livello mentale ed emotivo nella vita, infatti la visione che abbiamo degli eventi che capitano, condiziona il modo in cui noi ci rapportiamo con l’ambiente, e di conseguenza come l’ambiente si relazionerà con noi.
Proprio questo diverso approccio agli eventi porta a far si che effettivamente la reazione rassegnata e depressiva agli eventi spiacevoli o alle sventure, si compia o meno.
È noto infatti il diverso atteggiamento di due malati gravi, dove il primo dice: non mollo, non voglio mollare…e reagendo psicologicamente riesce a volte a vincere e guarire – mentre all’opposto ci sono persone che dicono – non ce la posso fare…mi lascio andare, e, in effetti il peggio, accade –
Definiamo dunque:”Problema con il destino”, il problema di quelle persone che provano tristezza perché pensano che non ci sarà limite al peggio.
-È successo qualcosa di spiacevole, sapevo di avere il destino avverso, anche a mamma è andata così , di conseguenza non posso fare nulla per cambiare la mia condizione, succederà di nuovo. – come faccio ad essere felice se ho ereditato dai miei genitori la sventura-
Questi timori sono dati da credenze negative, che a loro volta sono alimentate da ferite storiche non rielaborate…se decidiamo di liberare sofferenze, rancori e rammarichi storici, ecco che la negatività si scioglierà come neve al sole, lasciando il posto a una ritrovata serenità e voglia di vivere.